martedì 27 aprile 2010

Resconto del 25 Aprile - Milano

Milano, 24/04/2010 Intervento del Presidente Napolitano al 65° anniversario della Liberazione


Signora Sindaco, Signor Presidente della Provincia, Signor Presidente della Regione, Signori rappresentanti del Comitato Antifascista e di tutte le associazioni partigiane e combattentistiche, Signor Presidente del Consiglio, Onorevoli parlamentari, Autorità, cittadini di Milano,

si può facilmente comprendere con quale animo io abbia accolto l'invito a celebrare a Milano il 65° anniversario della Liberazione. Con animo grato, per la speciale occasione che mi veniva offerta, con viva emozione e con grande rispetto per quel che Milano ha rappresentato in una stagione drammatica, in una fase cruciale della storia d'Italia. E tanto più forte è l'emozione nel rivolgere questo mio discorso al paese dal palcoscenico del glorioso Teatro La Scala, che seppe risollevarsi dai colpi distruttivi della guerra per divenire espressione e simbolo, nel mondo intero, della grande tradizione musicale e culturale italiana.

Si, viva e sincera è la mia emozione perché fu Milano che assunse la guida politica e militare della Resistenza. Nel gennaio del 1944, il Comitato di Liberazione Nazionale lombardo venne investito dal CLN di Roma - nella prospettiva di una non lontana liberazione della capitale, e di una separazione dell'Italia settentrionale dal resto d'Italia - dei poteri di "governo straordinario del Nord". Esso si trasformò così in Comitato Nazionale di Liberazione per l'Alta Italia e si mise all'opera per assicurare la massima unitarietà di orientamenti e di direttive al movimento di liberazione. Più avanti - superata la crisi dell'inverno 1944 e avvicinandosi la fase conclusiva della lotta - si costituirà, per assicurare anche sul piano militare la necessaria unitarietà di direzione, il Comando generale del Corpo Volontari della Libertà : lo guiderà il generale Raffaele Cadorna. Seguono ben presto i piani pre-insurrezionali, che vedono al primo posto il cruciale obbiettivo della difesa degli impianti dalle minacce di distruzione tedesche, e infine i piani operativi per l'insurrezione, soprattutto nelle tre città-chiave della Resistenza nel Nord, Torino, Milano, Genova.

Nel piano di Milano, di lì irradiandosi le direttive per tutta la periferia, è previsto l'impiego di 32 mila partigiani. L'insurrezione si prepara come sbocco, sempre più maturo, dello sviluppo - con l'approssimarsi della primavera, e al prezzo di duri sforzi e sacrifici - delle azioni partigiane (2 mila nell'area di Milano tra febbraio e aprile) ; essa non è dunque la fiammata di un giorno glorioso, ma il frutto di una lunga, eroica semina e di una sapiente organizzazione finale.

Genova è la prima ad insorgere, per decisione presa dal CLN già la sera del 23 aprile ; il piano si snoda attraverso momenti drammatici e prove magnifiche da parte delle squadre partigiane, e si conclude la sera del 25 con la firma, da parte del generale Meinhold,

dell'atto di resa delle forze armate germaniche alle Forze Armate del Corpo Volontari della Liguria e, per esse, al Presidente del CLN di Genova. Ne dà l'annuncio alla radiopiano si snoda attraverso momenti drammatici e prove magnifiche da parte delle squadre partigiane, e si conclude la sera del 25 con la firma, da parte del generale Meinhold,

Fu combattente instancabile, senza eguali per slancio, audacia, generosità, a cominciare dalla partecipazione - all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre - al disperato tentativo di resistere ai tedeschi nel cuore di Roma, a Porta San Paolo, dopo che il Re è fuggito a

dell'atto di resa delle forze armate germaniche alle Forze Armate del Corpo Volontari della Liguria e, per esse, al Presidente del CLN di Genova. Ne dà l'annuncio alla radio Paolo Emilio Taviani, tra i protagonisti dell'insurrezione, con le solenni parole : "Per la prima volta nella storia di questa guerra un corpo d'Esercito si è arreso dinanzi alle forze spontanee di popolo".A Milano, la decisione viene presa, l'ordine viene impartito, per il 25 aprile - in rapporto con le notizie provenienti da Genova - dal Comitato insurrezionale : Sandro Pertini, Emilio Sereni, Leo Valiani. Cade, già nel pomeriggio del 24, prima vittima, Gina Galeotti Bianchi, dirigente dei Gruppi di difesa delle donne, la partigiana Lia, ricordata e onorata proprio giorni fa alla Camera dei Deputati. La mattina del 25 Sandro Pertini, già impegnatosi in audaci azioni di attacco, accorre alla fabbrica CGE, dinanzi ai cui cancelli due operai, precedentemente rinchiusi a San Vittore, sono stati trascinati e brutalmente uccisi anche per intimorire le maestranze : Pertini parla ai lavoratori nel piazzale portando l'appello del Comitato insurrezionale. La sera del 26 Milano è praticamente liberata. Gli ultimi reparti tedeschi capitoleranno all'arrivo in città delle divisioni partigiane dell'Oltrepo pavese.

In quei tesissimi giorni, si consumeranno a Milano anche gli ultimi tentativi di impossibili trattative cui si erano mostrati ambiguamente disponibili i capi fascisti. E a Milano si compì poi il tragico epilogo dell'avventura mussoliniana, in uno scenario di orrore che replicò altri orrori inscenati nello stesso luogo di Piazzale Loreto. La guerra era finita, con la vittoria delle forze alleate ; e insieme era finita, con la sconfitta del fascismo repubblichino, anche la guerra civile fatalmente intrecciatasi con la Resistenza.

Nel Campo della gloria al Cimitero maggiore verranno raccolti i resti mortali, verranno scolpiti i nomi, di 4.134 cittadine e cittadini milanesi caduti per la libertà tra l'8 settembre 1943 e la primavera del '45, di 2.351 partigiani del Corpo Volontari della Libertà.Ho voluto partire da un sommario richiamo a drammatici eventi, a memorabili momenti della storia della Resistenza - per quanto più volte e più puntualmente ripercorsi nelle celebrazioni del 25 aprile - perché mai in queste celebrazioni, e dunque nemmeno in quella di oggi, si può smarrire il riferimento ai fatti, al vissuto, a quel che fu un viluppo di circostanze concrete, di dilemmi, di scelte difficili, di decisioni coraggiose e costose, di sconfitte e di successi ; non si può mai smarrire il riferimento a tutto ciò, rinunciare a ricostruire e tramandare costantemente quelle esperienze reali, se non si vuole ridurre il movimento di Liberazione a immagine sbiadita o ad oggetto di dispute astratte.

Nella mia rapida rievocazione del ruolo di Milano in quegli eventi, è risuonato il nome di Sandro Pertini. E non c'è migliore occasione di questa per ricordarlo a vent'anni dalla scomparsa. Perché il suo nome spicca in tutto il percorso della Resistenza, tra quelli che da Milano la guidarono, come protagonisti del Comitato di Liberazione Alta Italia, del Comando del Corpo Volontari della Libertà, del Comitato insurrezionale.

Milano la guidarono, come protagonisti del Comitato di Liberazione Alta Italia, del

Comando del Corpo Volontari della Libertà, del Comitato insurrezionale.

Fu combattente instancabile, senza eguali per slancio, audacia, generosità, a cominciare dalla partecipazione - all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre - al disperato tentativo di resistere ai tedeschi nel cuore di Roma, a Porta San Paolo, dopo che il Re è fuggito a Pescara e la capitale è stata militarmente abbandonata. Pertini è lì, reduce da lunghi anni di carcere, di confino e di esilio ; è lì anche da vecchio combattente, medaglia d'argento, della prima guerra mondiale. Ne uscirà capo dell'organizzazione militare del Partito socialista per l'Italia centrale occupata.Ma già il 15 ottobre viene arrestato, insieme con Giuseppe Saragat e altri socialisti, invano interrogato per due giorni e due notti in Questura, rinchiuso a Regina Coeli (inizialmente nel braccio tedesco), fino a quando tutto il gruppo dei sette socialisti poté evaderne grazie a un piano ingegnoso che ebbe tra i suoi registi un grande patriota, poi eminente giurista e uomo pubblico, Giuliano Vassalli.

Pertini riprese così il suo posto nella lotta contro l'occupazione tedesca, cui si dedicò, da Roma, in tutti i primi mesi del '44 : il 3 aprile Vassalli fu trascinato nella famigerata via Tasso e sottoposto ad ogni violenza dalle SS. Nel mese successivo si avviano colloqui al più alto livello in Vaticano con il comandante delle SS in Italia per evitare la distruzione della capitale (e da quei contatti scaturì anche la liberazione di Vassalli). Il progetto dell'insurrezione a Roma viene accantonato ; Pertini sceglie allora, a metà maggio, di partire per Milano, perché "lassù" - disse - "c'era tanto da fare e da combattere". E da Milano si muoverà per portare il suo contributo e il suo impulso in tutto il Nord.

A luglio è chiamato a Roma per consultazioni politiche : ma si ferma a Firenze per partecipare all'insurrezione fino a liberare la città dai tedeschi. Giunto a Roma, freme per tornare al più presto a Milano: e per raggiungere quella meta compie un viaggio quanto mai avventuroso, in aereo fino a Digione in Francia, e poi valicando con una guida il Monte Bianco. Di lì a Cogne e a Torino, e finalmente a Milano, in tempo per contribuire a organizzare e guidare la fase finale della guerra di Liberazione.

L'immagine conclusiva del suo impegno - come poi dirà la motivazione della medaglia d'oro al valor militare - di "prezioso e insostituibile animatore e combattente" della Resistenza, è rimasta consegnata alla fotografia che lo ritrae mentre tiene il suo primo discorso, dopo decenni di privazione della libertà, il 26 aprile 1945 a Piazza del Duomo.E' stato - dobbiamo dirlo - un onore per l'Italia, un onore per la Repubblica, avere tra i suoi Presidenti Sandro Pertini.

L'omaggio che oggi gli rendo, anche con forte sentimento personale per il rapporto che ci fu tra noi, vorrei fosse però incitamento ed auspicio per un nuovo, deciso impegno istituzionale, politico, culturale, educativo diretto a far conoscere e meditare vicende collettive ed esempi personali che danno senso e dignità al nostro essere italiani come eredi di ispirazioni nobilissime, di insegnamenti altissimi, più forti delle meschinità e delle degenerazioni da cui abbiamo dovuto risollevarci. Un impegno siffatto è mancato, o è sempre rimasto molto al di sotto del necessario. Abbiamo esitato, esitiamo a presentare

in tutte le sue luci il patrimonio che ci ha garantito un posto più che degno nel mondo : esitiamo per eccessiva ritrosia, per timore, oltre ogni limite, della retorica e dei miti, o per sostanziale incomprensione del dovere di affermare, senza iattanza ma senza

delle degenerazioni da cui abbiamo dovuto risollevarci. Un impegno siffatto è mancato, o è sempre rimasto molto al di sotto del necessario. Abbiamo esitato, esitiamo a presentare

Che cosa era in effetti accaduto in quei venti mesi tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945? Che cosa era accaduto a partire dal momento della presa d'atto - con l'armistizio -

in tutte le sue luci il patrimonio che ci ha garantito un posto più che degno nel mondo : esitiamo per eccessiva ritrosia, per timore, oltre ogni limite, della retorica e dei miti, o per sostanziale incomprensione del dovere di affermare, senza iattanza ma senza autolesionismi, quel che di meglio abbiamo storicamente espresso e rappresentiamo.

E questo amaro discorso vale per le grandi pagine e le grandi figure del processo che condusse, 150 anni fa, all'Unità d'Italia ; così come per le più luminose pagine e figure dell'antifascismo e della Resistenza. Perfino a Sandro Pertini, che pure è stato Presidente amato e popolare, non abbiamo - al di là di quel che con affetto lo ricorda nella sua terra natale - saputo dedicare un memorial, un luogo di memorie, come quelli che in grandi paesi democratici (si pensi agli Stati Uniti d'America) onorano e fanno vivere le figure dei maggiori rappresentanti della storia, per quanto travagliata, della nazione.

Eppure, l'identità, la consapevolezza storica, l'orgoglio nazionale di un paese traggono forza dalla coltivazione e valorizzazione di fatti, di figure, di simboli, in cui il popolo, in cui i cittadini possano riconoscersi traendone motivi di fierezza e di fiducia. Naturalmente, l'impegno che sollecito, riferito alla Resistenza, esige - per dispiegarsi pienamente, per ottenere riscontri positivi e suscitare il più largo consenso - la massima attenzione nel declinare correttamente il significato e l'eredità della Resistenza, in termini condivisibili, non restrittivi e settari, non condizionati da esclusivismi faziosi.

Guardiamo, per intenderci, a quel che si legge nel Diario di Benedetto Croce, alla data del 26 aprile 1945 : "Grande sollievo per la rapida liberazione dell'alta Italia dai tedeschi senza le minacciate e temute distruzioni, e per opera dei patrioti e partigiani, che è gran beneficio, anche morale, per l'Italia".

Poche essenziali parole, con le quali il grande uomo di pensiero e di cultura liberale scolpì il valore della conclusione vittoriosa della Resistenza. Valore nazionale, per il "gran beneficio anche morale" assicurato all'Italia restituendole piena dignità di paese libero, liberatosi con le sue forze, di concerto con la determinante avanzata degli eserciti alleati ma senza restare inerte ad attenderne il trionfo. Chi può negare che l'apporto delle forze angloamericane fu decisivo per schiacciare la macchina militare tedesca, per scacciarne le truppe dal territorio italiano che occupavano e opprimevano? Certamente nessuno, ma è egualmente indubbio che il generoso contributo italiano, contro ogni comodo e calcolato attendismo, ci procurò un prezioso riconoscimento e rispetto.

E ho citato Benedetto Croce perché le parole, prive di ogni ombra di retorica ma così significative e lineari, di un'eminente figura dell'Italia prefascista, lontanissima dalle correnti ideali e politiche che attraversarono più ampiamente il moto resistenziale e che sarebbero risultate maggioritarie al momento della nascita della Repubblica, danno il segno di un'obbiettiva definizione del 25 aprile come storica giornata di riscatto nazionale, al di là di ogni caratterizzazione di parte.

segno di un'obbiettiva definizione del 25 aprile come storica giornata di riscatto nazionale, al di là di ogni caratterizzazione di parte.

espressioni di partecipazione alla Resistenza, attraverso le quali si è compiuta una vera e propria riscoperta del senso della patria e della nazione, mi riferisco in special modo alla

Che cosa era in effetti accaduto in quei venti mesi tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945? Che cosa era accaduto a partire dal momento della presa d'atto - con l'armistizio - della disfatta in cui era culminata la disastrosa guerra voluta da Mussolini al fianco della Germania hitleriana? Che cosa era accaduto da quello che fu il momento del collasso dello Stato sabaudo fascistizzato e di un generale, pauroso sbandamento del paese, ma anche il momento dei primi segni di una nuova volontà di resistenza al sopruso e all'oppressione, di ritrovamento della propria fierezza e identità di italiani?

Era accaduto che nell'esperienza della partecipazione alla Resistenza, in tutte le sue forme ed espressioni, si era riscoperto, recuperato, rinnovato, un sentimento, un fondamentale riferimento emotivo e ideale che sembrava essersi dissolto. Praticamente dissolto, come aveva detto - già mesi prima della caduta del fascismo - lo stesso Benedetto Croce, in uno scritto che circolò clandestinamente :

"Risuona oggi, alta su tutto, la parola libertà ; ma non un'altra che un tempo andava a questa strettamente congiunta : la patria, l'amore della patria, l'amore, per noi italiani, dell'Italia. Perché?

Perché ... la ripugnanza sempre crescente contro il nazionalismo si è tirata dietro una sorta di esitazione e di ritrosia a parlare di 'patria' e di 'amor di patria'. Ma se ne deve riparlare, e l'amor della patria deve tornare in onore appunto contro il cinico e stolido nazionalismo, perché esso non è affine al nazionalismo, ma il suo contrario." Ebbene, con la Resistenza, di fronte alla brutalità offensiva e feroce dell'occupazione nazista, rinacque proprio l'amore, il senso della patria, il più antico e genuino sentimento nazionale. "Le parole 'patria' e 'Italia'" - scrisse poi una sensibilissima scrittrice, Natalia Ginzburg - che erano divenute "gonfie di vuoto", ci apparvero d'un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta." E Carlo Azeglio Ciampi ha richiamato autobiograficamente il momento del "collasso dello Stato" nel settembre '43, quando lui e tanti altri "trovarono nelle loro coscienze l'orientamento", perché in esse "vibrava profondo il senso della Patria".

Personalmente, ho più volte ribadito come non ci si debba chiudere in rappresentazioni idilliache e mitiche della Resistenza e in particolare del movimento partigiano, come non se ne debbano tacere i limiti e le ombre, come se ne possano mettere a confronto diverse letture e interpretazioni : senza che ciò conduca, sia chiaro, a sommarie svalutazioni e inaccettabili denigrazioni. E' comunque un fatto che anche studiosi attenti a cogliere le molteplici dimensioni del fenomeno della Resistenza, compresa quella di "guerra civile", non ne abbiano certo negato o sminuito quella di "guerra patriottica".

D'altronde, le "lettere dei condannati a morte della Resistenza" restano la più ricca, drammatica testimonianza delle motivazioni patriottiche dell'impegno e del sacrificio di tanti partigiani, soprattutto giovani partigiani.E quando parlo di tutte le forme e le

drammatica testimonianza delle motivazioni patriottiche dell'impegno e del sacrificio di tanti partigiani, soprattutto giovani partigiani.E quando parlo di tutte le forme e le

nella libertà e nell'indipendenza. Se ciò non fosse accaduto, la nostra nazione sarebbe scomparsa dalla scena della storia, su cui si era finalmente affacciata come moderno Stato

espressioni di partecipazione alla Resistenza, attraverso le quali si è compiuta una vera e propria riscoperta del senso della patria e della nazione, mi riferisco in special modo alla rilevantissima componente costituita dal concorso dei militari al moto di liberazione, di riconquista della libertà e dell'indipendenza del paese : dai contingenti militari regolari chiamati a durissime prove all'indomani dell'armistizio - a Cefalonia, per non ricordare che un luogo-simbolo di quelle manifestazioni di eroico senso dell'onore e coraggio - agli ufficiali e ai soldati che si unirono alle formazioni partigiane, alle centinaia di migliaia di internati in Germania in campi di concentramento, alle nuove forze armate che si raccolsero nel Corpo Italiano di Liberazione. A queste ultime ho dedicato lo scorso anno la cerimonia del 25 aprile a Mignano Montelungo, che fu teatro, nel dicembre 1943, di un'aspra battaglia e costituì "il battesimo di sangue del rinato Esercito italiano". Quell'azione dei nostri soldati fu esaltata dal Generale Clark, Comandante della V Armata americana, come esempio di determinazione per liberare il proprio paese dalla dominazione tedesca : "un esempio - egli disse - per i popoli oppressi d'Europa".

Naturali portatori, nella Resistenza, del senso della patria e della nazione furono i militari, e tra essi quelli che si unirono alle formazioni partigiane, che si collocarono nelle strutture clandestine del movimento di Liberazione. Ne furono portatori anche in termini di continuità, sia pure nel travaglio della partecipazione a una guerra antitetica a quella precedentemente combattuta. Un travaglio che si coglie nella lettera indirizzata alla moglie dal generale Giuseppe Perotti all'indomani della condanna a morte decretata dal Tribunale Speciale, e alla vigilia della fucilazione al Martinetto in Torino : egli scrive di un esito tragico, che "non so come classificare", di un "destino imperscrutabile" che comunque lo conduce a morire in guerra. In quegli stessi giorni, il più giovane capitano Franco Balbis, arrestato e fucilato, il 5 aprile 1944, insieme col generale Perotti e con altri, tutti membri del Comitato Militare Regionale Piemontese, scrive alla madre di offrire la sua vita "per ricostruire l'unità italiana" dopo aver servito la Patria "sui campi d'Africa", e chiede che si celebrino "in una chiesa delle colline torinesi due messe", nell'anniversario della battaglia di Ain El Gazala e di quella di El Alamein, nelle quali aveva valorosamente combattuto.

Emerge in effetti da tante di quelle estreme motivazioni del proprio impegno e del proprio sacrificio, come nella scelta di schierarsi fino in fondo con la Resistenza avessero finito per confluire ideali di liberazione sociale, visioni universalistiche, aspirazioni a "un mondo migliore", consapevolezza antifascista, sete di libertà, e amore per l'Italia. E l'elemento unificante non poteva che essere questo, l'attaccamento alla propria terra, alla Patria, la volontà di liberarla. Ritorno sulle parole del capitano Balbis : "ricostruire l'unità italiana", come supremo obbiettivo per cui sacrificare la vita.

Si, vedete, amici, il 25 aprile è non solo Festa della Liberazione : è Festa della riunificazione d'Italia. Dopo essere stata per 20 mesi tagliata in due, l'Italia si riunifica,

Si, vedete, amici, il 25 aprile è non solo Festa della Liberazione : è Festa della riunificazione d'Italia. Dopo essere stata per 20 mesi tagliata in due, l'Italia si riunifica,

irrinunciabili. Non può formare oggetto di irrisione, né considerarsi un mito obsoleto, un residuo del passato. Solo se ci si pone fuori della storia e della realtà si possono evocare con nostalgia, o tornare a immaginare, più entità statuali separate nella nostra penisola.

nella libertà e nell'indipendenza. Se ciò non fosse accaduto, la nostra nazione sarebbe scomparsa dalla scena della storia, su cui si era finalmente affacciata come moderno Stato unitario nel 1861, con il compimento del moto risorgimentale.Gli storici hanno analizzato anche l'aspetto del ricollegarsi della Resistenza al Risorgimento, ne hanno con misura pesato i molti segni, nella pubblicistica politica, nelle dichiarazioni programmatiche, negli stessi nomi delle formazioni partigiane, nello spirito che animava i militari deportati e internati in Germania. E se hanno poi potuto apparire abusate certe formule, e poco fondate le facili generalizzazioni, resta il fatto che la memoria del Risorgimento, il richiamo a quell'eredità - per quanto venisse assunto ambiguamente anche dall'altra parte - fu componente importante della piattaforma ideale della Resistenza.

Si trattò di un decisivo arricchimento di quella che era e rimase la matrice antifascista della guerra di Liberazione : nel più ampio e condiviso sentimento della Nazione, nel grande alveo della guerra patriottica si raccolsero forze che non erano state partecipi dell'antifascismo militante e fresche energie rappresentative di nuove, giovanissime generazioni. E questa caratterizzazione più ricca, e sempre meno di parte, della Resistenza si rispecchiò più tardi nel confronto costituente, nel disegno e nei principi della Costituzione repubblicana.

Se nella Costituzione possono ben riconoscersi - come dissi celebrando il 25 aprile due anno orsono a Genova, e come voglio ripetere - anche quanti vissero diversamente dai combattenti della libertà i drammatici anni 1943-45, "anche quanti ne hanno una diversa memoria per esperienza personale o per giudizi condivisi", è perché la Carta approvata nel '47 sancì - dandovi solide basi democratiche - una rinnovata identità e unità della nazione italiana.Mi auguro che in questo spirito si celebri il 65° anniversario della Liberazione e Riunificazione d'Italia. "Il nostro paese ha un debito inestinguibile" - da detto un anno fa in un impegnativo discorso a Onna in Abruzzo il Presidente del Consiglio - "verso quei tanti giovani che sacrificarono la vita per riscattare l'onore della patria...........": ricordando con rispetto "tutti i caduti", senza che "questo significhi neutralità o indifferenza". Si tratta in effetti di celebrare il 25 aprile nel suo profondo significato nazionale ; ed è così che si stabilisce un ponte ideale con il prossimo centocinquantenario della nascita dello Stato unitario.

Mi si permetterà, credo, di ignorare qualche battuta sgangherata, che qua e là si legge, sulla ricorrenza del prossimo anno. Siamo chiari. Se noi tutti, Nord e Sud, tra l'800 e il 900, entrammo nella modernità, fu perché l'Italia si unì facendosi Stato ; se, 150 anni dopo, siamo un paese democratico profondamente trasformatosi, tra i più avanzati in quell'Europa integrata che abbiamo concorso a fondare, è perché superammo i traumi del fascismo e della guerra, recuperando libertà e indipendenza, ritrovando la nostra unità.

Quella unità rappresenta oggi, guardando al futuro, una conquista e un ancoraggio

fascismo e della guerra, recuperando libertà e indipendenza, ritrovando la nostra unità.

Quella unità rappresenta oggi, guardando al futuro, una conquista e un ancoraggio

irrinunciabili. Non può formare oggetto di irrisione, né considerarsi un mito obsoleto, un residuo del passato. Solo se ci si pone fuori della storia e della realtà si possono evocare con nostalgia, o tornare a immaginare, più entità statuali separate nella nostra penisola. Come bene intesero tutte le correnti e le figure di spicco del Risorgimento, l'Italia è chiamata a vivere come nazione e come Stato nell'unità del suo territorio, della sua lingua, della sua storia. Se non si consolidasse questa unità, finiremmo ai margini del processo di globalizzazione - che vede emergere nuovi giganti nazionali in impetuosa crescita - e anche ai margini del processo di integrazione europeo.

Un' Europa sempre più integrata e assertiva sulla base di istituzioni comuni è la sola dimensione entro la quale gli stessi Stati nazionali più forti del nostro continente potranno far valere insieme il loro patrimonio storico, la loro capacità di contribuire allo sviluppo di un più giusto e bilanciato sviluppo globale il cui baricentro si sta assestando lontano da noi. Ma non c'è nessuna contraddizione tra l'imperativo dell'integrazione, la salvaguardia della diversità delle tradizioni e delle culture nazionali, il rafforzamento della coesione e dell'unità nazionale di ciascuno Stato membro dell'Unione.

Per contare in Europa e per contare nel mondo di oggi e di domani, la nostra unità nazionale resta punto di forza e leva essenziale. Unità nazionale che non contrasta ma si consolida e arricchisce con il pieno riconoscimento e la concreta promozione delle autonomie, come d'altronde vuole la Costituzione repubblicana : quelle autonomie regionali e locali, di cui si sta rinnovando e accrescendo il ruolo secondo un'ispirazione federalistica.

Questa è la strada per far crescere di più e meglio tutto il nostro paese, in vista di obbiettivi che mai come ora ci appaiono critici e vitali per garantire innanzitutto il diritto al lavoro e prospettive di futuro per le giovani generazioni.

La complessità dei problemi che si sono venuti accumulando nei decenni dell'Italia repubblicana - talvolta per eredità di un più lontano passato - esige un grande sforzo collettivo, una comune assunzione di responsabilità. Questa esigenza non può essere respinta, quello sforzo non può essere rifiutato, come se si trattasse di rimuovere ogni conflitto sociale e politico, di mortificare una naturale dialettica, in particolare, tra forze di maggioranza e forze di opposizione. Si tratta invece di uscire da una spirale di contrapposizioni indiscriminate, che blocca il riconoscimento di temi e impegni di più alto interesse nazionale, tali da richiedere una limpida e mirata convergenza tra forze destinate a restare distinte in una democrazia dell'alternanza.All'auspicabile crearsi di questo nuovo clima, può contribuire non poco il diffondersi tra gli italiani di un più forte senso dell'identità e unità nazionale.

Così ritengo giusto che si concepisca anche la celebrazione di anniversari come quello della Liberazione, al di là, dunque, degli steccati e delle quotidiane polemiche che

segnano il terreno della politica. Le condizioni sono ormai mature per sbarazzare il campo dalle divisioni e incomprensioni a lungo protrattesi sulla scelta e sul valore della Resistenza, per ritrovarci in una comune consapevolezza storica della sua eredità più

Così ritengo giusto che si concepisca anche la celebrazione di anniversari come quello della Liberazione, al di là, dunque, degli steccati e delle quotidiane polemiche che

segnano il terreno della politica. Le condizioni sono ormai mature per sbarazzare il campo dalle divisioni e incomprensioni a lungo protrattesi sulla scelta e sul valore della Resistenza, per ritrovarci in una comune consapevolezza storica della sua eredità più condivisa e duratura. Vedo in ciò una premessa importante di quel libero, lungimirante confronto e di quello sforzo di raccoglimento unitario, di cui ha bisogno oggi il paese, di cui ha bisogno oggi l'Italia.



Intervento alla Scala, il 24.4.2010, del Prof. Carlo Smuraglia Presidente del Comitato permanente antifascista milanese e Presidente dell’ANPI provinciale di Milano.

Signor Presidente,

a nome del Comitato permanente antifascista milanese, che riunisce l’ANPI e tutte le altre associazioni partigiane, l’ANED, le organizzazioni sindacali, le Acli, diversi partiti, l’Associazione familiari delle vittime di Piazza Fontana, le esprimo la più sincera gratitudine, per avere colto l’occasione del 65° anniversario della Liberazione per levare la sua voce di altissimo garante della Costituzione e della convivenza civile e democratica, proprio da Milano, città Medaglia d’oro della Resistenza.

Per noi, la festa nazionale del 25 aprile è occasione di memoria e di riflessione.

Il ricordo dei 100.000 caduti per la libertà sarebbe solo formale se non si accompagnasse alla ricerca delle ragioni per cui si immolarono, delle loro speranze e dei loro sogni, anche per confrontarli con la realtà di oggi e trarne incitamento per la via da seguire per la realizzazione di quegli ideali.

Il Comitato antifascista ha scelto tre parole per il suo appello: Resistenza, Costituzione, lavoro.

Ognuna di queste parole, richiama memoria e riflessione,

RESISTENZA.

Troppo chiaro è il significato di questa gloriosa parola per dilungarsi ad illustrarla.

Desidero, invece, assolvere ad un debito di riconoscenza che dobbiamo alle donne che hanno combattuto per la libertà, recando un contributo determinante ed irrompendo nella storia del Paese come non era mai accaduto, con la loro sensibilità, la loro determinazione, la loro forza di volontà. Un debito che ci obbliga a ricordarle tutte, quelle che han fatto i lavori più semplici ma non per questo meno pericolosi e quelle che hanno assunto anche posizioni di responsabilità.

Per le donne, l’impegno nella resistenza, corrispondeva all’ideale della libertà e dell’uguaglianza. La libertà l’hanno conquistata sul campo. L’idea di uguaglianza potrà dirsi veramente realizzata soltanto quando sarà stata raggiunta non solo la parità piena fra i sessi, ma anche le pari opportunità, in tutte le occasioni, nel lavoro, nella famiglia, nella società. Dobbiamo assumere, nel ricordo delle donne impegnate nella resistenza, l’impegno a rimuovere – come recita l’art. 3 della Costituzione - gli ostacoli che ancora impediscono la piena realizzazione dell’uguaglianza, il pieno sviluppo della persona, l’effettiva partecipazione di tutti alla vita politica, economica e sociale del Paese.

COSTITUZIONE- Non possono, non devono suonare retoriche le parole che Calamandrei dedicò alla Carta Costituzionale, definendola un testamento di centomila morti, invitando chi volesse andare in pellegrinaggio nel luogo dove essa è nata, ad andare sulle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità.

Questo è il senso del ricordo, il senso del sacrificio di tanti, l’attualità della memoria. Lì sta la ragione per la quale siamo così profondamente attaccati ai valori della Carta Costituzionale, ai suoi princìpi, ai suoi fondamenti. Una Costituzione, comunque, che proprio per ciò che rappresenta, spiega e giustifica il nostro ricordo, ha bisogno di essere attuata compiutamente e fatta vivere nella coscienza e nella sensibilità di ogni cittadino.

IL LAVORO, infine, ci riconduce ad una delle pagine più belle della Resistenza, a quel marzo del ’43, quando – dopo tanti anni – il movimento dei lavoratori tornò in piazza, con uno sciopero imponente, che segnò l’avvio alla caduta del fascismo e, con gli scioperi del ’44, che furono altrettanto determinanti per lo sviluppo della Resistenza e la riconquista della libertà.

Anche quegli scioperi cagionarono arresti, deportazioni, lutti, che è giusto ricordare e imprimersi nella memoria, anche perché questo ricordo ci serve per capire le ragioni per cui fu scritto l’art. 1 della Costituzione, dove il lavoro è indicato come valore fondante della Repubblica democratica.

I lavoratori che scesero in sciopero volevano la fine della guerra, la riconquista della libertà, la riconquista della sicurezza e della dignità nel lavoro.

Quella aspirazione, quella speranza, quei sogni sono entrati profondamente nella Carta Costituzionale. È compito di tutti noi che essi vengano compiutamente realizzati.

Questo è lo spirito della Costituzione, una delle più avanzate del mondo, che proprio nella parte attinente alla persona ed al lavoro ha avuto l’onore di ispirare princìpi e valori fondamentali recepiti nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Ecco, sig. Presidente, con quali ricordi e quale impegno affrontiamo il 65° anniversario della Liberazione, per dare voce a speranze e ideali a cui dobbiamo la nostra libertà, per essere degni degli immensi sacrifici che oggi ricordiamo, per consegnare ai giovani la prospettiva di un avvenire migliore.

Resoconto del 25 Aprile: Cassina

DISCORSO DI GUIDO PARATI, VICESINDACO DI CASSINA DE' PECCHI

Oggi 25 Aprile 2010 ci ritroviamo ancora una volta per rinnovare la memoria della lotta di RESISTENZA PARTIGIANA conclusasi il 25 Aprile 1945 con la riconquista della indipendenza del popolo italiano dall’oppressione nazi-fascista.

L’opposizione antifascista non sorse né all’improvviso né in un solo momento, ma si sviluppò progressivamente a mano a mano che prendevano corpo i caratteri aggressivi e totalitari dei regimi fascisti e, con essi, la loro disastrosa influenza sullo scenario internazionale.

Le tragiche ed infauste vicissitudini della partecipazione italiana alla 2.a guerra mondiale, intrapresa per la effimera illusione di reboanti conquiste imperialistiche, determinarono la consapevolezza che l’avvenire del paese e dell’umanità richiedevano di battere altre strade.

La disfatta militare palesò la disastrosa povertà di idee, mezzi e risorse della dittatura mussoliniana e, ancora, evidenziò come, una fallace formazione culturale e professionale delle giovani generazioni mortificava le potenzialità necessarie al progresso nei settori fondamentali del vivere civile. Fu questo che rivelò al popolo italiano la consapevolezza che solo l’abbandono di miti retoricamente vuoti poteva consentire la conquista di ideali strettamente mirati al progresso della dignità umana.

Nell'autunno del 1943 prende forma la coalizione di tutte le forze antifasciste, coalizione che sul finire dell'anno trova completamento, dapprima, con la adesione del PCI alla opzione patriottica della lotta di liberazione e poi, alla concorde manifestazione di tutti i partiti democratici di convergere nella collaborazione politica espressa dai CLN.

L’opposizione al fascismo comprende forze partitiche democratiche, forze sociali ispirate alla promozione dell’uomo che riconoscono nella potenza creatrice dell’individualità un potente motore della società, forze del mondo religioso cristiano e anche non cristiano, associazioni e movimenti, che pur non riconoscendosi in organizzazioni partitiche ispirate a precise ideologie portano avanti la volontà di realizzare un mondo nel quale la violenza e la sopraffazione (volontà di potenza, militarismo imperialista) non siano l’ideale di vita.

Questo è il mondo dal quale ha preso il via lo sviluppo di quella forma unitaria di opposizione alla dittatura che è la RESISTENZA.

In Italia, la RESISTENZA fu possibile per il fatto di avere assunto un carattere patriottico che imponeva a tutte le sue componenti come esigenza primaria la riconquista della indipendenza del popolo italiano dall’invasore come condizione indispensabile per la ricostituzione dello Stato italiano che si sarebbe dovuto dare una struttura democratica pervasa degli ideali di umanità e tolleranza a premessa della instaurazione di un ordine nazionale ed internazionale di pace.

La RESISTENZA non è un semplice fatto militare, ma è piuttosto un movimento che si presenta in forme complesse, variamente articolate, tutte tra loro interconnesse e nelle quali spicca una partecipazione collettiva di tutte le forze sociali e politiche senza dimenticare in tutto ciò l’importante ruolo delle donne, come angeli del focolare all’interno della famiglia, tenendo testa a tutte le vicissitudini della guerra dovute all’assenza degli uomini impegnati nell’ attività militare vera e propria e in moltissime occasioni partecipando attivamente a tutte le iniziative della RESISTENZA.

L’attività resistenziale si è sviluppata con forme diverse:

  • attività politica organizzativa;

  • attività politica rivolta all'acquisizione di consensi popolari (propaganda);

  • attività militare locale;

  • attività militare vera e propria (formazioni combattenti, Brigate partigiane, ecc.);

  • direzione politica esercitata da organismi collegiali interpartito a diversi livelli di competenza territoriale.

Il 25 aprile, è dunque il coronamento di una lotta multiforme che ha trasceso l'ambito puramente militare per ricollegarsi piuttosto a tutte le attività politiche che, in una forma certamente non subordinata, si allargavano a tutta la società.

In pratica, anche se in modo non formale, la caduta del regime fascista, la sconfitta dell’oppressore nazista e la contemporanea instaurazione delle strutture democratiche sono il punto terminale di un fenomeno, quello della RESISTENZA, che si presentò nell’ambito di una nuova dialettica politica consentita dall’insorgente impulso democratico che animava la nuova società: ma, il fenomeno della RESISTENZA, nei suoi aspetti più originali si perpetuò nella conquistata acquisizione di larghe forze popolari alle nuove classi dirigenti del Paese e nella redazione della Costituzione Repubblicana, i cui contenuti, ora almeno nella seconda parte, in via di parziale obsolescenza, ricalcano temi acquisiti nella lotta clandestina.

Pertanto il contributo, che la RESISTENZA in tutto il suo insieme, dalle organizzazioni politiche, sociali e militari, ha fornito al Paese è costituito dal patrimonio di idee e di strutture operative che hanno, ci auguriamo, definitivamente sepolto le ideologie nazifasciste nel limbo delle cose morte ed hanno sventato il pericolo che si realizzasse una involuzione profonda nello sviluppo nazionale: la RESISTENZA è stata anche partecipe a quel movimento internazionale che nel dopoguerra, nonostante contrasti spesso drammatici, ha propiziato il mantenimento della pace ed un decisivo progresso nella costruzione di una Europa meno disunita.

Viva la RESISTENZA, viva la PACE, viva la REPUBBLICA.


DISCORSO DI MARIA GRAZIA MASTRANDREA, PRESIDENTE DELLA SEZIONE ANPI DI CASSINA


Cari concittadini,

voglio iniziare questa commemorazione del 65° anniversario del Giorno della Liberazione lasciando la parola a una patriota. Si chiama Paola Garelli, di Mondovì, in provincia di Cuneo. Ha 28 anni e fa la pettinatrice a Savona. Siamo alla fine di ottobre del 1944. Lei è in carcere perché svolge attività clandestina nella brigata SAP "Colombo" della città ligure. E' condannata a morte. Ecco la sua ultima lettera, scritta alla sua bambina Mimma, prima di essere fucilata, senza processo, il 1° novembre.

Mimma cara,

la tua mamma se ne va pensandoti e amandoti, mia creatura adorata, sii buona, studia ed ubbidisci sempre gli zii che t'allevano, amali come fossi io.

Io sono tranquilla. Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonna e gli altri, che mi perdonino il dolore che do loro. Non devi piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo una cosa sola: studia, io ti proteggerò dal cielo.

Abbraccio con il pensiero te e tutti, ricordandovi la tua infelice mamma.

Queste non sono semplici parole, ma azioni di eccezionale elevatezza morale che si trasferiscono da una morente ai superstiti. Sono una testimonianza e una lezione, concepite nel momento più solenne della vita, quando si è a faccia a faccia con se stessi, in presenza della morte. Esprimono grande coraggio, straordinaria serenità e modestia, fiducia nel futuro. Diventano un messaggio universale.

E' la prima volta, nella storia italiana, che nell'animo di un popolo si forma una convinzione così seria e diffusa, capace di affrontare qualsiasi prova. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, la sopravvivenza della Patria pone drammaticamente a ogni italiano, già alle prese con le terribili difficoltà quotidiane, una domanda cruciale: quale decisione prendere per riscattare e dare dignità a un Paese allo sbando? Molti si chiudono in se stessi. Altri attendono occasioni più favorevoli. Altri invece prendono su di sé la responsabilità di cacciare i tedeschi dall'Italia, sconfiggere i fascisti e dar vita a una società nuova. Coloro che fanno quest'ultima scelta sono molti e tutti concordi.

Nel grande movimento di Liberazione confluiscono innanzitutto i 200 mila partigiani della Resistenza, con i loro 45 mila caduti, i 10 mila uccisi per rappresaglia e i 21 mila invalidi e mutilati. Un forte contributo viene dai 600 mila soldati italiani deportati dai tedeschi nei campi di concentramento: di essi, solo 15 mila accettano di rientrare in Italia a combattere per la Repubblica di Salò; gli altri utilizzano gli strumenti di lotta al nazismo e al fascismo che le circostanze

consentono, come il rifiuto del lavoro e il sabotaggio. Importante, infine, è la partecipazione alla lotta di Liberazione dei soldati del Regio esercito italiano con

gli 8383 caduti della divisione Acqui a Cefalonia e alcune eroiche battaglie, come quella di Montelungo, a fianco degli Alleati .

La Resistenza, attraverso i suoi atti militari e politici, è stata una guerra di liberazione, di liquidazione del fascismo e di realizzazione di una democrazia repubblicana. I documenti che testimoniano questi percorsi di azione, come le memorie dei resistenti, le lettere dei condannati a morte, gli atti del Comitato di Liberazione Nazionale e delle Libere Repubbliche sorte nell'Italia settentrionale, sono il segnale di una svolta, lo"spartiacque", come ha ricordato ieri a Milano il Presidente Giorgio Napolitano, tra l'Italia del Risorgimento che conseguì la sua unità nel 1861 e l'Italia che nel 1945 iniziò la sua nuova storia . C'è tanta voglia di un futuro migliore in questi documenti che si è condensata nel 1948,nella

Costituzione: in questa Carta fondamentale sono stati convertiti in norme giuridiche e formalizzati in un linguaggio scientifico i valori della Resistenza: l'uguaglianza, la libertà e la solidarietà per dare corpo a una democrazia nuova, partecipativa, fondata sugli equilibri dei poteri, testimone dei diritti fondamentali dell'uomo: il lavoro, l'emancipazione, la cultura, il dialogo.

Non dimentichiamo mai quel passaggio del discorso del giurista e padre costituente Piero Calamandrei agli studenti milanesi nel 1955:

…questa Carta è un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate sulle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione.

Oggi, a 65 anni dalla fine della guerra di Liberazione e dal congedo della Resistenza, che pure ha avuto al suo interno episodi di rappresaglia, dogmatismi, estremismi, quei principi sono ancora attuali. Sia perché non sono stati del tutto applicati. Sia perché abbiamo bisogno di anticorpi per combattere l'oblio delle regole democratiche.

La democrazia, ci ricorda il costituzionalista Gustavo Zagrebelski, è sempre un regime problematico, difficile, mai definitivo, esposto strutturalmente al pericolo d'involuzione oligarchica. Noi italiani non possiamo stare tranquilli sapendo di essere, secondo un detto del filosofo Norberto Bobbio, "democratici più per assuefazione che per convinzione".

Dobbiamo allora incidere nel nostro cuore l'esortazione di Calamandrei: "Ora e sempre resistenza".

giovedì 22 aprile 2010

25 aprile 2010 - 65° anniversario della Liberazione d'Italia





PROGRAMMA

MOSTRA FOTOGRAFICA “STORIA E CRONACA DELLA RESISTENZA ITALIANA ED EUROPEA - Un omaggio ai Caduti per la Libertà”

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DOMENICA 25 APRILE 2010 9,00 - 12,30 presso l’ingresso del Palazzo Comunale in Piazza De Gasperi

MARTEDI’ 27 APRILE 2010 e MERCOLEDI’ 28 APRILE 2010

9,00 – 12,30 / 14,30 – 18

GIOVEDI’ 29 APRILE 2010 DALLE ORE 21,00

presso i portici della Biblioteca Comunale “R.Camerani” in via Trieste 3/b

presso la Cooperativa Sociale La Speranza Via Roma 81 2/piano La Mostra potrà essere illustrata nel corso della serata


GIOVEDI’ 29 APRILE 2010 ORE 21,00 GIORGIO PEREGO – Ricerca Storica: “IL PARTIGIANO GIUSEPPE MERONI DI SANT’AGATA MARTESANA“ presso la Cooperativa Sociale La Speranza via Roma 81 2/piano

(Si ringrazia la Cooperativa Sociale La Speranza per la collaborazione)


IL 25 APRILE ALLE 10 SAREMO IN PIAZZA DE GASPERI DAVANTI AL COMUNE PER CELEBRARE IL 65° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE DAL NAZIFASCISMO, E ALLE 14 APPUNTAMENTO DAVANTI ALLA STAZIONE DELLA METROPOLITANA DI CASSINA DE’ PECCHI PER ANDARE A MILANO ALLA MANIFESTAZIONE NAZIONALE. IL CORTEO PARTE DA PORTA VENEZIA ED ARRIVA IN PIAZZA DUOMO.